Quale ambiente favorisce la crescita e l’apprendimento dei ragazzi?
Uno collaborativo o uno competitivo?
La riflessione è stata stimolata da una frase di Bertrand Russell:
“L’educazione dovrebbe inculcare l’idea che l’umanità è una sola famiglia con interessi comuni. Che di conseguenza la collaborazione è più importante della competizione”
Cosa dicono le neuroscienze in merito?
Le neuroscienze, base della proposta e del metodo CREA Insieme®, hanno una risposta molto chiara alla domanda iniziale.
Spiegano infatti chiaramente come le emozioni siano strettamente collegate alla fase di apprendimento e quindi senza emozione è difficile apprendere.
Perché? Perché l’apprendimento implica attenzione e memoria tra altre funzioni esecutive.
Per far si che l’informazione appresa venga passata alla memoria a lungo termine è necessario che si attivino le funzioni cognitive e metacognitive insieme alle emozioni per riuscire ad essere rinforzata. L’assenza di sensazione di minaccia permette al ricordo di accedere alla memoria a lungo termine.
Quando l’ambiente è competitivo…
Quando c’è una sollecitazione eccessiva dal punto di vista della pressione come ad esempio una domanda a “bruciapelo”, si attiva il sistema di allarme emotivo e si rallentano le competenze di tipo cognitivo. Infatti si consiglia sempre di lasciare un momento di riflessione all’alunno per il tempo che sia necessario a recuperare le informazioni prima di pretendere la risposta.
Ecco perché il mettere eccessivamente sotto pressione lo studente facendolo sentire inadeguato blocca la sua capacità di apprendere.
In un clima vissuto con pressione è difficile che l’alunno possa fare una domanda o condividere un pensiero perché magari teme di sbagliare e dall’errore commesso quindi essere deriso.
Un ambiente particolarmente competitivo tocca infatti la necessità di sentirsi di appartenere a un gruppo all’interno di contesto sociale.
Quando l’ambiente è collaborativo…
A differenza quando la situazione si sviluppa in maniera collaborativa i risultati che si ottengono sono nettamente migliori.
Come insegna la Gestalt “L’insieme è di più della somma delle singole parti”
Quando si collabora, quindi, si riesce davvero a creare qualcosa che va oltre.
Un clima di vera collaborazione permette ad ogni partecipante di essere realmente proattivo, stando bene tra i propri pari.
Ciascuno si sente al sicuro nel condividere il proprio contributo di cui beneficia l’intero gruppo.
Come riportare tutto questo a scuola?
L’uomo è un animale sociale, abbiamo tutti i nostri ruoli, una certa formazione e anche una missione nella vita
Gli insegnanti hanno una delle missioni più importanti tra tutti i lavori che ci sono, devono portare le nuove generazioni al livello a cui è arrivata quella attuale.
Per farlo è quindi utile che insegnino ai ragazzi a collaborare con i propri simili, non porsi in competizione, perchè tutti possono trarre energia vitale dall’interazione e collaborazione che si crea nel fare qualcosa di bello insieme.
Il coaching è proprio quello che serve per far riunire all’interno dell’insegnante questa visione di appartenenza ad un sistema e nel trovare l’energia e la voglia di farlo bene.
A cosa possono servire le neuroscienze agli insegnanti?
Conoscere le neuroscienze è utile sempre, in maniera determinante per gli insegnanti e gli educatori. Si potrebbe quasi dire che per loro è una necessità.
Non si può ignorare come funziona il cervello e come influiscono le emozioni sulle azioni quando si concorre, insieme alla famiglia, a guidare le nuove menti e le nuove generazioni.
Studiare le neuroscienze ha come beneficio il poter smontare e demitificare completamente alcune credenze popolari quali ad esempio:
- viene utilizzato solo il 10% cervello, quando invece si accende e attiva tutto quando si deve eseguire un compito
- i due emisferi del cervello non lavorano in maniera distinta, ma in modo sincronico e collaborano continuamente, la parte destra è deputata alla creatività mentre la parte sinistra alla logica. Se così fosse, come farebbero i poeti scrivere poesie? Usano la creatività (della parte destra) e la verbalizzazione (della parte sinistra)
- il cervello si sviluppa solo fino ai 40 anni, quando in realtà, grazie alla scoperta della neuroplasticità si sa che è possibile stabilire nuove connessioni neurali che mantengono e aprono nuove frontiere di apprendimento anche negli anziani per evitare il deterioro cognitivo.
Ma le curiosità sono solo secondarie ai benefici che ne ricava la comunicazione e la lettura delle situazioni.
Sono infatti le differenti interpretazioni che scatenano il conflitto dal punto di vista comunicativo a scuola, e non sono li.
Ad esempio si ipotizzi un ragazzo o una ragazza con un “cattivo” comportamento senza sapere che dietro all’atteggiamento errato si nasconde la paura di quello che possono pensare o dire le persone e quindi del giudizio oppure fa il ”pagliaccio”, si maschera, per non dimostrare che ha difficoltà di apprendimento.
Dall’altro lato questi comportamenti possono urtare il professore che si sente preso in giro e reagisce con stizza.
Come risolvere la situazione?
Fornendo all’insegnante una serie di strumenti che lo aiutano ad essere davvero coach dei suoi studenti.
Il benessere dell’insegnante diventa il vero perno attorno al quale gira poi tutto il resto, al di là del programma di contenuti da passare agli studenti.
Conoscere il proprio stato emotivo e come questo influenza le proprie emozioni permette di leggere questi schemi, o quantomeno iniziare a cercarli, anche negli alunni.
Si scopre così che ci sono delle aree ben precise che bisogna tenere in considerazione.
I livelli neurologici (Bateson) e i livelli logici (Dilts) non si possono sottovalutare:
- l’ambiente
- il comportamento
- capire quali sono le capacità e le abilità dei ragazzi
- sapere quali sono le credenze, le convinzioni
- capire a che punto è la formazione dell’identità dei ragazzi (soprattutto adolescenti)
- Lo spirito; per chi e che cosa fai ciò che fai
E’ molto importante avere la mappa ben chiara delle credenze e convinzioni dei ragazzi e di quanto queste possono influire negativamente.
Questo approccio permette di leggere i differenti livelli di comunicazione (verbale, non verbale, paraverbale) e far si che l’insegnante sia una vera guida che aiuti ad instaurare un ambiente davvero collaborativo tra i ragazzi.
Lo stesso approccio si rivela particolarmente utile anche nella relazione con la famiglia.
I colloqui con i genitori sono un momento prezioso per attivare la collaborazione tra scuola e famiglia.
Anche qui è più importante lavorare su quello che si può potenziare nello studente condividendo il progetto che serva ad aiutare il ragazzo/la ragazza a tirar fuori le proprie risorse, piuttosto che sottolineare gli aspetti negativi e le cose che non vanno.
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Un programma sviluppato in modo da offrire all’insegnante una serie di riflessioni che piano piano può applicare prima su se stesso e poi far vivere agli allievi
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